Storico, ha lavorato a Roma presso l’Istituto della Enciclopedia italiana (1983-2014). È stato consulente delle commissioni parlamentari d’inchiesta sul terrorismo e le stragi (1994-1995) e sul dossier Mitrokhin (2004-2005). Dal 2010 è membro del direttivo dell’associazione culturale Archivio Flamigni. Fa parte del comitato consultivo istituito dalla presidenza del Consiglio nel 2016 sul versamento agli Archivi di Stato della documentazione inerente alla “direttiva Renzi”. Numerose le sue pubblicazioni sulla storia d’Italia, in particolare sugli anni Settanta del Novecento.
Origine dell’espressione
L’espressione strategia della tensione nacque in riferimento alle bombe del 12 dicembre 1969 esplose a Milano e a Roma nel contesto giornalistico britannico, in particolare attraverso il gruppo editoriale del quotidiano «The Guardian» e del settimanale «The Observer» (che esce la domenica, quando «The Guardian» non esce). Entrambe le testate avevano seguito con attenzione le vicende della Grecia, denunciando la brutalità e l’attacco ai diritti umani del Regime dei colonnelli. Il tema era peraltro all’attenzione del comitato del Consiglio d’Europa, che avrebbe dovuto deliberare sull’argomento il 12 dicembre 1969, a Parigi (la riunione si concluse, in un clima polemico, con l’annuncio delle dimissioni della delegazione greca dall’organismo). Ai primi di dicembre le due testate pubblicarono documentazione riservata che induceva a ritenere che il Regime dei colonnelli stesse lavorando all’organizzazione di un colpo di Stato in Italia con la complicità di gruppi fascisti e settori militari italiani (1).
In questo contesto, l’espressione strategy of tension apparve per la prima volta sull’«Observer» del 14 dicembre nell’articolo degli inviati in Italia Neal Ascherson, Michael Davie e Frances Cairncross (2), sulla Strage di piazza Fontana. Pur tenendo conto della possibile influenza del Governo greco sull’attentato, l’articolo sviluppava un ragionamento tutto interno alla politica italiana, enfatizzando la linea perseguita dal Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat a partire dalla scissione socialdemocratica del luglio 1969:
I motivi per cui Saragat aveva provocato la scissione erano evidentemente sottili. Non stava cercando tanto di influenzare i suoi socialisti quanto di spostare a destra la Democrazia cristiana. Il calcolo era che il Governo Rumor sarebbe stato messo in ginocchio da tumulti industriali, che nel nuovo anno vi sarebbero state le elezioni anticipate e che la paura del comunismo avrebbe annientato nelle elezioni la forte sinistra democristiana. Ciò avrebbe escluso ogni possibilità di una coalizione con i comunisti. Ma la previsione non si avverò. Chi l’aveva fatta aveva sottovalutato la prudenza dei comunisti. Lungi dall’incoraggiare il caos, i comunisti italiani si erano caratterizzati come “partito d’ordine”. […] Per l’intero schieramento di destra, dai socialisti di Saragat ai neofascisti, l’inattesa mitezza dell’“autunno caldo” minacciava di sgonfiare la paura della rivoluzione su cui essi contavano. Chi ha messo le bombe ha riportato quella paura in Italia.
Il punto centrale dell’articolo, per quel che qui interessa, è il seguente: «Nessuno è così pazzo da incolpare il Presidente Saragat per gli attentati. Ma tutta la sinistra oggi dice che la sua [his, di Saragat] strategia della tensione ha indirettamente incoraggiato l’estrema destra a passare al terrorismo».
Dunque, all’origine, la strategia della tensione era la politica che tendeva all’isolamento del Pci, forza uscita rafforzata dalle elezioni del 1968; in una situazione di tensione sociale (rinnovi contrattuali, movimento degli studenti ecc.) questa condizione predisponeva l’estrema destra all’avventura, alla provocazione, allo scontro violento.
Neal Ascherson, inviato a Roma dell’«Observer» e uno dei firmatari dell’articolo, in un’intervista rilasciata nel 2014 a Simona Zecchi, ha chiarito che quel discorso e quell’espressione gli furono suggeriti da colleghi giornalisti italiani con i quali era in contatto, Antonio Gambino e Claudio Risé, entrambi dell’«Espresso» (3). Ascherson ha altresì fornito un valido supporto alle sue affermazioni, mettendo a disposizione dell’intervistatrice il taccuino con gli appunti presi in quei giorni. Dal taccuino, che contiene anche riferimenti ai giornalisti italiani citati, si ricava che egli fu autore di larga parte dell’articolo e in particolare dei brani che maggiormente ci interessano, dianzi tradotti (4).
Ciò peraltro avvalora l’intuizione, già avanzata da alcuni studiosi, che l’espressione strategia della tensione – negli appunti di Ascherson come pure nell’articolo a stampa tra apici, ‘strategy of tension’, con allusione quindi a qualche cosa di già detto – sia stata ideata, per analogia fonetica e per opposizione logica e concettuale, sul calco della “strategia dell’attenzione” verso il Partito comunista di cui parlò Aldo Moro alla direzione della Democrazia cristiana il 21 febbraio 1969 (5), espressione che fu ampiamente registrata e commentata nella stampa dell’epoca: le idee cui rimandano le due espressioni sono opposte e simmetriche.
La strategia della tensione entrò così nella discussione politica e giornalistica (lo stesso 14 dicembre «l’Unità» pubblicò un ampio resoconto, basato sulle agenzie di stampa, dell’articolo inglese); la discussione ebbe nei giorni successivi punte di asprezza, soprattutto per gli attacchi all’«Observer» da parte della stampa italiana di destra, mentre i socialdemocratici eccepirono che Saragat non avesse avuto ruolo nella scissione socialista.
Estensione del significato
Nel fortunato pamphlet del 1970 La strage di Stato era mantenuto il significato originario, ancorché il senso fosse esteso a una modalità d’intervento generalizzabile anche ad altri contesti:
Per la strategia della tensione quello che conta è di provocare, nell’opinione pubblica moderata, l’immagine del vuoto politico, creare la psicosi della paura, della minaccia permanente, della incombente disgregazione dello Stato, lenta ma ineluttabile. Nel necessario contesto, di fianco agli attentati, agli scontri, alle provocazioni fasciste e della Polizia, si inseriscono anche l’aggiotaggio politico fatto soprattutto dai socialdemocratici con i loro continui ricatti o minacce di scioglimento delle Camere; la messa in circolazione di voci su presunti o imminenti colpi di Stato; l’allarmismo economico provocato con artificiali crisi della Borsa, e con il trasferimento di capitali all’estero ampiamente pubblicizzato sulla stampa (6).
Nei mesi successivi, ma soprattutto a partire dal 1972, si verificò uno slittamento semantico per cui la stampa e la pubblicistica di sinistra, generalmente con una forte accentuazione polemica, utilizzarono l’espressione per indicare quei comportamenti politici violenti, non solo le stragi ma anche le aggressioni, i ferimenti e gli attentati, soprattutto in quanto apparivano tra loro collegati anche perché: a) operati da militanti dell’estrema destra; b) nascosti dietro linguaggi o modalità di sinistra, affinché le responsabilità ricadessero sugli avversari; c) coperti e talora sostenuti da apparati dello Stato quali Polizia, Carabinieri, servizi segreti.
L’uso dell’espressione, nel nuovo significato, crebbe rapidamente, toccando l’apice nel 1974 (7). Un’intervista di Pasolini mostra come alla fine di quell’anno lo slittamento semantico fosse del tutto compiuto e come la strategia della tensione tendesse a rappresentare un’intera fase:
Prendiamo le piste nere – diceva Pasolini in un’intervista a Massimo Fini uscita su «L’Europeo» del 26 dicembre 1974 –. Io ho un’idea, magari un po’ romanzesca ma che credo giusta, della cosa. Il romanzo è questo. Gli uomini del potere, e potrei forse fare addirittura dei nomi senza paura di sbagliarmi tanto – comunque alcuni degli uomini che ci governano da trent’anni – hanno prima gestito la strategia della tensione a carattere anticomunista, poi, passata la preoccupazione dell’eversione del ’68 e del pericolo comunista immediato, le stesse, identiche persone hanno gestito la strategia della tensione antifascista. Le stragi quindi sono state compiute sempre dalle stesse persone. Prima hanno fatto la Strage di piazza Fontana accusando gli estremisti di sinistra, poi hanno fatto le Stragi di Brescia e di Bologna accusando i fascisti e cercando di rifarsi in fretta e in furia quella verginità antifascista di cui avevano bisogno dopo la campagna del referendum e dopo il referendum, per continuare a gestire il potere come se nulla fosse accaduto (8).
Pasolini faceva dunque un uso per così dire empirico e funzionale di strategia della tensione, al fine di un proprio discorso, peraltro non banale e in grado di cogliere un tratto significativo del drammatico passaggio di quei mesi dei quali lo scrittore fu tra i primi e più acuti interpreti. Si trattava di un uso giornalistico, che comportava una qualche volatilità dell’espressione, che certamente non aveva ancora un carattere definitorio o storiografico, ma comunque appariva immemore del significato originario.
L’indice del Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN) segnala come dalla metà degli anni Settanta la strategia della tensione sia entrata nel titolo di pubblicazioni prodotte da diverse aree politiche della sinistra per indicare le modalità di un’intera fase storica (9).
L’uso storiografico dell’espressione
Intesa come descrizione, pur generica, dell’insieme degli episodi violenti (in particolare le stragi e i tentativi o progetti di colpo di Stato), l’espressione strategia della tensione ha avuto grande diffusione nel linguaggio comune ed è entrata anche nell’uso della ricerca storica. Fin dagli anni Ottanta, raccolte documentarie e studi critici – possiamo riferirci innanzitutto ai libri di Gianni Flamini e di Vincenzo Vinciguerra (10) – l’hanno assunta come riferimento, ragion per cui essa appare oggi necessaria e irrinunciabile. Sebbene siano da segnalare alcune esplicite opposizioni, non identiche tra loro, all’uso dello stesso concetto di strategia della tensione (per esempio in autori come Ernesto Galli della Loggia e Massimiliano Griner (11)), si può dire che l’espressione abbia largamente perso il connotato originario “di sinistra”, che ne caratterizzò l’uso nei primi anni Settanta, a indicare che la lingua e la cultura nazionali hanno accolto l’idea che vi fu effettivamente un tentativo di condizionare la democrazia e la convivenza civile attraverso le stragi, gli omicidi, la violenza.
Semmai, si può notare qualche tendenza a dilatare l’ambito di applicazione al di là dei limiti cronologici che direttamente la giustificano. Per esempio, Salvatore Lupo ha parlato della Strage di Portella della Ginestra (1° maggio 1947) come della «prima strategia della tensione nella storia della Repubblica» (12). Sempre a proposito di riferimenti cronologici, possiamo notare che nel 1997 Nicola Tranfaglia proponeva una periodizzazione abbastanza ampia della strategia della tensione (1969-1984) (13), mentre, più di recente, studiosi come Mirco Dondi e Aldo Giannuli convergono verso una periodizzazione dalla metà degli anni Sessanta al 1974, vale a dire il periodo cruento 1969-1974 quale risultato di un’incubazione e di una preparazione maturate negli anni precedenti (14).
La discussione è comunque aperta anche su altri punti, il maggiore dei quali è costituito dal tentare di comprendere in che misura la strategia della tensione sia stata un fenomeno endogeno – cioè generato da conflitti interni – e in quale misura la proiezione in Italia di conflitti mondiali.
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(1) Vedi Cedric Thornberry, Greek advice for a coup in Italy, in «The Guardian», 6 dicembre 1969, p. 2; Leslie Finer, Greek Premier plots Army coup in Italy, in «The Observer», 7 dic. 1969, pp. 1-2.
(2) 480 held in terrorist bombs hunt, in «The Observer», 14 dicembre 1969, pp. 1-2; più significativo il titolo di seconda pagina: Italy: Fear of revolt returns.
(3) «È successo che alcuni giornalisti italiani mi hanno usato per pubblicare contenuti che non osavano pubblicare loro stessi per paura di essere accusati del reato di “calunnia”. Dopo che fu pubblicato il mio articolo […] la stampa italiana mi accusò di aver predisposto un attacco a Saragat. Insomma mi sistemarono». Simona Zecchi, Piazza Fontana, 12 dicembre 1969: la giustizia è perduta, la verità ancora no, 11 dicembre 2014, https://www.glistatigenerali.com/politica_societa_terrorismo/12-dicembre-1969-la-verita-su-piazza-fontana-e-sul-rapporto-borghese/.
(4) Dobbiamo alla cortesia di Simona Zecchi l’aver potuto prendere visione della fotocopia del taccuino di Ascherson (36 facciate di un quaderno di piccolo formato). Queste pagine manoscritte contengono appunti presi verosimilmente durante alcune conversazioni del 12 e 13 dicembre; queste note appaiono di lettura ardua e di incerta interpretazione e contengono anche riferimenti ai giornalisti dell’«Espresso» sopra richiamati. Contengono anche una stesura manoscritta di due lunghi brani coincidenti, senza varianti significative, con la metà circa dell’articolo pubblicato.
(5) Aldo Moro, Scritti e discorsi, a cura di Giuseppe Rossini, V (1969-73), Roma, Cinque lune, pp. 2664-2666.
(6) La strage di Stato. Controinchiesta, Milano, Samonà e Savelli, 1970, pp. 112 s.
(7) Si ottengono informazioni di un certo interesse se si verificano le occorrenze dell’espressione strategia della tensione sull’«Unità», utilizzando l’edizione in pdf reperibile on line (https://archivio.unita.news/). L’espressione compare a partire dal 1969: 2 volte nel dicembre in relazione all’articolo dell’«Observer», 6 volte nel 1970, 29 nel 1971, 153 nel 1972, 170 nel 1973, 312 nel 1974 (si tenga conto che le cifre delle occorrenze sono qui date probabilmente per difetto: la riproduzione del testo nel pdf non è sempre ottimale, ragion per cui alcune occorrenze potrebbero non essere state registrate; inoltre il file è costituito dalla singola pagina del quotidiano, nella quale l’espressione può ricorrere più volte).
(8) L’intervista precisava un’intuizione già espressa in un celebre editoriale del «Corriere della sera» (Che cos’è questo golpe?, 14 novembre 1974); entrambi gli articoli in P.P. Pasolini, Scritti corsari, Milano, Garzanti, 1975, pubblicato quando Pasolini era ancora in vita. I riferimenti sono al referendum sul divorzio (12 maggio 1974), alla Strage di piazza della Loggia (Brescia, 28 giugno 1974) e alla Strage del treno Italicus a San Benedetto Val di Sambro (in provincia di Bologna, 4 agosto 1974).
(9) I primi due titoli censiti dal catalogo SBN sono i seguenti: Lotta continua, L’affare Molino e le bande del SID a Trento. La documentazione completa di Lotta continua dal 1972 al 1977 sul ruolo dei servizi segreti della Polizia e dei Carabinieri nella strategia della tensione, della strage e della provocazione, Milano, Collettivo editoriale 10/16, 1976; Consiglio Regionale della Puglia, Consiglio Provinciale, Consiglio Comunale di Bari, Impegno delle forze democratiche ed autonomistiche per combattere la strategia della tensione. Seduta congiunta, 13 aprile 1977, Bari, Italgrafica Sud, 1977.
(10) G. Flamini, Il partito del golpe. Le strategie della tensione e del terrore dal primo centrosinistra organico al sequestro Moro, 4 volumi in 6 tomi, Bologna, Bovolenta, 1981-85; V. Vinciguerra, Ergastolo per la libertà. Verso la verità sulla strategia della tensione, Firenze, Arnaud, 1989.
(11) E. Galli della Loggia, Italia. Tensione senza strategia, in «Corriere della sera», 18 agosto 2000, p. 29; M. Griner, Piazza Fontana e il mito della strategia della tensione, Torino, Lindau, 2011.
(12) S. Lupo, Storia della mafia dalle origini ai giorni nostri, Donzelli, Roma 1996, p. 163.
(13) N. Tranfaglia, Un capitolo del "doppio Stato". La stagione delle stragi e dei terrorismi, 1969-84, in Storia dell’Italia repubblicana, a cura di F. Barbagallo, vol. 3, 2, Torino, Einaudi, 1997, pp. 7-80.
(14) M. Dondi, L’eco del boato. Storia della strategia della tensione, Roma-Bari, Laterza, 2015; A. Giannuli, La strategia della tensione, Milano, Ponte alle Grazie, 2018.