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Il senso dello Stato nel caso Moro
Claudia Sanna

Laureata nell’anno accademico 2011-12 presso l’Università degli studi di Sassari, dipartimento di Giurisprudenza (disciplina di Dottrina dello Stato), con la tesi di laurea intitolata Il senso dello Stato nel caso Moro, relatore professor Giovanni Bianco.

 

2013

Subito dopo il rapimento di Aldo Moro, avvenuto il 16 marzo 1978, il Parlamento, nel votare la fiducia al nuovo governo che andava insediandosi, si dichiarò a stragrande maggioranza per la linea della fermezza e rifiutò, conseguentemente, di accettare qualsiasi eventuale trattativa tra Stato e Brigate rosse. In realtà fu lo stesso Moro, per primo, a proporre una trattativa - esattamente a undici giorni di distanza dal rapimento – in una lettera indirizzata all’allora ministro dell'Interno Francesco Cossiga, lettera che Moro intendeva fosse recapitata riservatamente ma che venne resa pubblica dalle stesse Brigate rosse.
Lo statista, nella missiva recapitata il 29 marzo 1978, illustrò la sua teoria a proposito di un'eventuale trattativa, specificando il fatto che «la dottrina per la quale il rapimento non deve recare vantaggi, discutibile già nei casi comuni, dove il danno del rapito è estremamente probabile, non regge in circostanze politiche, dove si provocano danni sicuri e incalcolabili non solo alla persona, ma allo Stato. Il sacrificio degli innocenti in nome di un astratto principio di legalità, mentre un indiscutibile stato di necessità dovrebbe indurli a salvarli, è inammissibile».
E aggiungeva: «non si dica che lo Stato perde la faccia, perché non ha saputo o non ha potuto impedire il rapimento di un'alta personalità che significa qualcosa nella vita dello Stato», per poi concludere che «un atteggiamento di ostilità sarebbe un'astrattezza e non un errore».

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Il senso dello Stato nel caso Moro
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