Storico, ha lavorato a Roma presso l’Istituto della Enciclopedia italiana (1983-2014). È stato consulente delle commissioni parlamentari d’inchiesta sul terrorismo e le stragi (1994-1995) e sul dossier Mitrokhin (2004-2005). Dal 2010 è membro del direttivo dell’associazione culturale Archivio Flamigni. Fa parte del comitato consultivo istituito dalla presidenza del Consiglio nel 2016 sul versamento agli Archivi di Stato della documentazione inerente alla “direttiva Renzi”. Numerose le sue pubblicazioni sulla storia d’Italia, in particolare sugli anni Settanta del Novecento.
Il golpe Borghese (talora richiamato come il golpe dell’Immacolata o come la notte di Tora Tora, con riferimento all’attacco giapponese alla base militare statunitense di Pearl Harbour del 7 dicembre 1941) fu un tentativo di insurrezione (non cioè un semplice progetto, ma un vero e proprio tentativo di presa del potere con un’azione di forza, l’unico di cui si abbia documentazione nella storia repubblicana), posto in essere nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 ad opera di un gruppo politico, il Fronte nazionale, guidato da Junio Valerio Borghese, e sostenuto da settori militari. L’operazione fu interrotta e revocata dagli stessi promotori poche ore dopo l’inizio e non ebbe notorietà prima dell’apertura di una formale inchiesta da parte della magistratura romana (marzo 1971). Pertanto, la vicenda ci è nota attraverso la documentazione raccolta dalla magistratura nelle indagini (sia nel processo golpe Borghese sia in altri procedimenti) e attraverso le memorie di alcuni protagonisti.
Circa la progettazione e l’organizzazione, è noto che il 26 gennaio 1970 Junio Valerio Borghese fu ricevuto dal segretario dell’ambasciata statunitense a Roma; la reazione statunitense al piano golpista fu negativa ma ciò non fermò il progetto (sulle posizioni statunitensi si veda Fronte nazionale). L’iniziativa, dapprima prevista nel mese di agosto, fu attuata il 7 dicembre 1970.
Per quanto si poté appurare, il piano prevedeva la presa dei Ministeri degli Interni e della Difesa quindi la presa della Rai, dove Borghese avrebbe letto il proclama rinvenuto nella sua abitazione durante una perquisizione. Il quartier generale fu stabilito presso il cantiere del costruttore edile Remo Orlandini nel quartiere romano di Montesacro, mentre il centro politico dell’iniziativa ebbe sede in via S. Angela Merici a Roma, presso la residenza di Mario Rosa.
Nel pomeriggio del 7 dicembre e fino a notte inoltrata, gruppi a sostegno dell’iniziativa si concentrarono presso l’associazione paracadutisti di Sandro Saccucci (in via Eleniana), militanti di Avanguardia nazionale erano nella sede di via dell'Arco della Ciambella, un gruppo facente riferimento alla formazione extraparlamentare Fronte Delta stazionò nei pressi dell’università e i militanti di Europa civiltà si raccolsero nella sede di largo Brindisi, in attesa di indicazioni operative.
Nel frattempo, una colonna di automezzi con circa duecento uomini della Guardia forestale perfettamente armati si mosse da Cittaducale (RI) in direzione degli studi televisivi romani di via Teulada.
Fu inoltre affidato a un commando il sequestro (o l’omicidio) del Capo della Polizia Angelo Vicari.
Amos Spiazzi, ufficiale di stanza a Verona, ha raccontato che quella notte vi furono altre mobilitazioni di reparti in attesa di eventi, ad una delle quali partecipò egli stesso (1).
L’unico obiettivo conseguito dai congiurati fu la presa del Ministero degli Interni. Grazie ad alcuni ufficiali interni al Ministero, nel pomeriggio del 7 dicembre 1970, un gruppo di militanti fu fatto entrare; nella sera l’armeria fu svaligiata e le armi trasferite su un camion che si allontanò.
Attorno all’una del mattino dell’8 dicembre, Borghese mise fine all’operazione, revocando tutte le mobilitazioni in corso. La colonna della Guardia forestale, giunta all’altezza del Ministero degli Esteri, invertì la direzione di marcia e rientrò a Cittaducale; i concentramenti furono sciolti; le armi sottratte all’armeria del Viminale furono ricollocate entro la notte al loro posto (con l’eccezione di una pistola mitragliatrice).
Borghese non diede, né allora né in seguito, una spiegazione esaustiva dei motivi per cui diramò il contrordine, cosa che fece sorgere sospetti e non facilitò i rapporti all’interno del Fronte nazionale. Sia Orlandini sia Delle Chiaie (2) hanno raccontato che il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Duilio Fanali non si presentò nel momento in cui stava per essere preso il Ministero della Difesa (il secondo attribuendo un valore decisivo a quell’assenza ai fini del prosieguo dell’iniziativa), affermazioni che – pur prive di ulteriori riscontri – forniscono indizi sulla vastità e forse anche sulla fragilità della trama golpista.
Un punto importante della vicenda è relativo al fatto se vi sia stata o meno insurrezione, questione sulla quale giudizio storico e sentenza del tribunale divergono. L’ipotesi di reato con cui fu aperto il fascicolo nel marzo 1971 era l’insurrezione armata contro i poteri dello Stato (art. 284 c.p.) che prevede la pena dell’ergastolo. Sebbene sia il Ministro degli Interni Franco Restivo sia il Capo della Polizia Angelo Vicari nel 1971 avessero affermato non esservi stata penetrazione all’interno del Ministero, durante l’istruttoria fu accertato documentalmente che i congiurati erano entrati nel Ministero e ne avevano svaligiato l’armeria, salvo riposizionare poi gran parte delle armi (circostanze peraltro confermate da documentazione che non pervenne agli atti del processo e da apporti documentari e testimoniali successivi), ragion per cui gran parte degli imputati fu processata per il reato di insurrezione armata. Viceversa la sentenza di primo grado non assumeva come veritiera la narrazione di Orlandini (una cui intercettazione era agli atti) e dava letture sminuenti sulla presa del Ministero, peraltro confermata da altri coimputati, in un racconto confuso e inadeguato in relazione agli elementi di prova acquisiti, negando l’avvenuta violazione del Ministero e quindi lasciando cadere l’imputazione di insurrezione (3).
Circa poi l’affermazione – propalata, forse tra i primi, da Maurizio Degli Innocenti (4) – che Licio Gelli si fosse assunto il compito di rapire il Capo dello Stato Giuseppe Saragat, essa appare documentalmente infondata, ancorché ponga implicitamente la questione di quale fosse (e se vi fosse) il livello politico dell’iniziativa golpista. In verità, nei progetti golpisti che furono elaborati successivamente al 1970, la presa del Quirinale e l’imposizione di un esecutivo “tecnico” fu una costante, mentre per il tentativo del 1970 non vi sono informazioni in proposito.
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(1) Spiazzi ha raccontato che nel pomeriggio del 7 dicembre 1970 ricevette l’ordine di attuare l’«esigenza triangolo», cioè «l’impiego immediato effettivo, di tutto quell’apparato anticomunista […] che comprendeva appunto ufficiali, sottufficiali e soldati di sicura fede che venivano aggiornati e tenuti sempre pronti», e di dirigersi nella zona calda di Sesto San Giovanni, ma fu raggiunto durante il percorso dalla comunicazione che si trattava solo di un’esercitazione (Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, n. 2-ter/13, pp. 267-300, audizione del 25 novembre 1983).
(2) Perizia trascrizione nastri Orlandini, trascrizione delle registrazioni dell’incontro di Lugano del 17 giugno 1974 tra A. Labruna, R. Orlandini, S. Romagnoli, M. Degli Innocenti, T. Nicoli, in Archivio di stato di Milano, Corte di assise di Milano, RG 19/95, Boffelli Giorgio + 7, fald. 76; S. Delle Chiaie, con M. Griner e U. Berlenghini, L’aquila e il condor, Milano, Sperling & Kupfer, 2012, pp. 145 s.
(3) Vedi la sentenza ordinanza di rinvio a giudizio del Giudice Istruttore (5 novembre 1975) e la sentenza di primo grado (14 luglio 1978) in Archivio della Corte d’assise presso il Tribunale di Roma, proc. pen. 49/1975, contro Remo Orlandini + 77, faldoni 5 ter, 67.
(4) Trascrizione colloquio via degli Avignonesi, II, pp. 164-166 (trascrizione della registrazione effettuata da Labruna dell’incontro del 30-31 maggio 1974 tra Romagnoli, Degli Innocenti, Nicoli e lo stesso Labruna), in Archivio del tribunale di Roma, procedimento della procura n. 17626/95 archiviato col n. 5105, contro L. Gelli, A. Labruna, F. Delfino et alii, fald. 20.